11 febbraio 2016

Riflessioni su The Hangover Trilogy

ovvero


Il declino del Branco

the hangover trilogy cover
All hail The Wofpack.

Recentemente ho riguardato i tre film di Todd Phillips riguardanti le avventure del “Branco” ed ho sentito la voglia irrefrenabile, come quella di andare in bagno che viene ad un quindicenne dopo aver visto le foto di Megan Fox su qualche catalogo di intimo, di scrivere una piccola riflessione sull’evoluzione che hanno avuto dal primo al terzo ed ultimo capitolo, anche se probabilmente sarebbe meglio parlare di involuzione. No, non sto parlando de “Il re leone”, “Il re leone II - Il regno di Simba” ed “Il re leone 3 - Hakuna Matata”, bensì della trilogia di film riguardanti le avventure del “Banco” formato da Phil, Alan, Stu, e Doug, ovvero “The Hangover”, conosciuti in Italia con il nome di “Una notte da leoni”. Chissà che caspita sarebbe uscito fuori da “Il re leone” se lo avesse diretto Todd Phillips? Anche se a dire la verità, il terzo film della serie de “Il re leone” è così demenziale che potrebbe davvero averlo diretto lui. Ma non perdiamoci in chiacchiere ed andiamo ad analizzare i tre film della trilogia della sbornia.

E da dove partire se non dall’inizio?

Il primo film della trilogia è, a mio avviso ma non solo, un capolavoro della commedia degli ultimi dieci anni. Le situazioni in cui i personaggi sono coinvolti sono un qualcosa di fresco ed innovativo e la curiosità di sapere che cosa è successo ai quattro protagonisti durante la festa di addio al celibato di Doug tiene incollato lo spettatore davanti allo schermo dall’inzio alla fine. Le situazioni che i quattro personaggi vivono sono certamente incredibili, però possibili nella realtà e pienamente giustificate, quindi in grado di fare provare allo spettatore una forte empatia nei loro confronti. I titoli di coda con le fotografie scattate dai quattro durante la loro serata perduta sono probabilmente gli unici che uno spettatore comune abbia mai guardato dall’inzio alla fine, oltre che la ciliegina su una torta piuttosto deliziosa. Le poche critiche mosse verso il film ne sono derivate dal linguaggio, che molti hanno definito scurrile e volgare. Effettivamente è così, ma il film no si è mai proposto come una commedia per famiglie e le volgarità risultano comunque sempre contestualizzate e giustificate e quindi più che accettabili. Capito, fratelli Vanzina? Studiate ed imparate!

La seconda pellicola, beh... è un sequel. Cos’altro aggiungere? Come la maggior parte dei sequel, è stato prodotto, girato e distribuito con il solo scopo di ottenere un facile successo al botteghino sfruttando quello insperato ed imprevisto del primo film. Come molte trilogie, quella di “The Hangover” non era infatti originariamente prevista, ma è stata programmata dopo il grande successo del primo tassello. Come non immaginare il regista Todd Phillips intento ad accarezzare la proverbiale gallina dalle uova d’oro come un vecchio pazzo zoofilo? Certo, esistono sequel di un certo successo e di una qualità anche superiore al film che seguono, come per esempio “Shrek 2”, “Kung Fu Panda 2”, “Rocco's Dirty Dreams 2”, “Rocco: Animal Trainer 2”, “True Anal Stories 2”... ehm... per esempio, eh... ma “The Hangover Part II” non è tra questi. Non è tuttavia nemmeno peggiore del film di cui è il seguito, in realtà. E’ semplicemente... uguale! Todd Phillips nel 2011 sfrutta il successo avuto due anni prima con “The Hangover” per portare sul tavolo di casa propria una facile pagnotta per cena.

Lo schema della pellicola è lo stesso di quello di “The Hangover”. I protagonisti organizzano un addio al celibato. Dimenticano tutto. Scoprono che uno di loro è scomparso. Realizzano che devono ritrovarlo prima dell’inizio del matrimonio di turno. Attraverso piccoli indizi ripercorrono ciò che hanno combinato la sera prima. Trovano una pista concreta che potrebbe condurli a ritrovare l’amico scomparso. Utilizzano tutte le loro energie per soddisfare un requisito che potrebbe condurli a salvare l’amico scomparso. Scoprono di aver seguito una falsa pista. Rassegnazione. Intuizione di Stu. Ritrovamento dell’amico. Viaggio rocambolesco verso la cerimonia nuziale. Lieto fine. Titoli di coda. E’ identico. Anche alcune scene, intese come battute o pose dei personaggi nonché inquadrature, sono identiche. Riguardare i film uno di seguito all’altro per credere.

Todd Phillips si è sbattuto nel realizzare “The Hangover Part II” tanto quanto voi vi siete impegnati nello stendere la ricerca di letteratura su Giacomo Leopardi: ha preso del materiale già fatto e ha cambiato alcune cose per non rendere troppo evidente il fatto che avesse copiato. Come darvi un brutto voto sulla ricerca, però? Il compito lo avete fatto e ciò che avete scritto è giusto. Potevate impegnarvi un po’ di più, certo, ma la sufficienza è vostra. Per Todd Phillips vale lo stesso discorso: nulla di più rispetto al film precedente, ma nemmeno nulla di meno. Non si merita quindi lo stesso voto né lo stesso successo avuto nel 2009, ma di certo non è possibile dargli un’insufficienza due anni dopo.

I due primi film della trilogia quindi possono essere guardati a seconda delle vostre inclinazioni del momento. Volete guardare un film leggero e divertente? Guardate “The Hangover”. Volete guardare un film leggero e divertente ma con un tocco di squallore dato dall’ambientazione del sud est asiatico? Guardate “The Hangover Part II”. Volete guardare un film squallido con protagonista una ragazza proveniente dal sud est asiatico? Guardate... ehm... Cercate in rete. Secondo me ne trovate anche più di uno!

Fin dal rilascio del secondo film, criticato proprio per la sua scarsa originalità, Todd Phillips annunciò che il terzo ed ultimo film della trilogia si sarebbe distaccato fortemente dagli altri due. E così è stato. Il film segue una trama ed uno schema narrativo completamente differenti. Anche la regia e la fotografia risultano diversi. Così tanto che non sembra nemmeno esserci Todd Phillips alla cabina di comando, bensì il cugino affetto da un amore platonico per Alfred Hitchcock. Il pesante cambio di direzione preso dal terzo film tuttavia non funziona. E’ certamente apprezzabile il tentativo del regista di voler fare i compiti senza copiare da quelli fatti in precedenza, così come lo sono i collegamenti con personaggi apparsi e fatti accaduti nei film precedenti, ma la pellicola risulta in un qualcosa più vicino ad un trhiller che ad una commedia, rovinando così l’atmsofera dell’intera trilogia. Se volessi inoltre valutarlo come un thriller invece che come una commedia non potrei che dargli un voto appena sufficiente. Ma lo farei solamente perché sono molto buono e perché dopo quattro anni mi sono fortemente affezionato ai personaggi della trilogia. In “The Hangover Part III” vige quindi sostanzialmente la regola del “ma”. E’ divertente, “ma” non come gli altri due. Non è una commedia bensì un thriller, “ma” non un gran thriller. Venezia è bella, “ma” non so se ci vivrei. E così via...

E discutendo dell’ultimo film della trilogia del “Branco”, come non parlare di ciò che Todd Phillips ha fatto a quello interpretato dall’ottimo Zach Galifianakis? Nei primi due film della trilogia Alan è un bonaccione un po’ stupido ed irresponsabile che lo spettatore tuttavia non può che amare a causa della sua voglia di fare del bene per gli unici amici che ha. Nonostante tutto ciò che accade sia colpa sua, nemmeno gli altri protagonisti riescono infatti a rimanere arrabbiati con lui tanto a lungo ed in alcuni momenti è addirittura lui a salvare la situazione. Alan non è solo uno dei protagonisti, ma uno dei simboli della serie nelle prime due pellicole. Nel terzo film, per qualche strana ragione che solamente Todd Phillips è in grado di spiegare, e che spero possa spiegare solamente con una grave malattia cerebrale, nonché rinnegare solamente con un “scusate, ho fatto una cazzata” (come fatto dal signor Walter Zenga dopo la sconfitta della Sampdoria contro il Vojvodina, mannaggia a lui), il buon Alan si trasforma in una sorta di psicopatico in grado di tirare fuori cooncetti così stupidi da essere più irritante che divertente. Se nei primi due film Alan è come il vostro amico che vi fa fare brutte figure con le ragazze, ma con uscite così divertenti da non poter essere a lungo motivo della vostra ira, in “The Hangover Part III” Alan è come Enrico Papi: in grado di fare perdere la pazienza a Ghandi. E io non sono Ghandi. Vale anche qui la regola del “ma”: Alan ha lo stesso spazio che aveva negli altri due film, “ma” è così stupido che vorresti stesse zitto più a lungo possibile. Nonché prenderlo a sberle. Ma non per cattiveria, bensì per nostalgia. Ti manca l’Alan delle avventure precedenti.

Alan abbandona la sua follia solamente nelle battute finali del film, non diventando tuttavia una persona nuova e più matura, come tra l’altro vorrebbe mostrare il regista, bensì semplicemente ritornando quello che già era nelle prime due parti della trilogia: un immaturo ragazzo un po’ sempliciotto nei panni di un adulto. E sebbene non sia in grado di salvare un film che purtroppo risulta essere il meno riuscito della serie, la scena del branco in marcia prima del matrimonio di Alan è però in grado di strapparti una lacrimuccia e di essere la degna conclusione di una trilogia che ti ha comunque divertito per quattro anni.

Nonostante l’evidente involuzione avuta nel corso degli anni, la “The Hangover Trilogy” mi ha divertito ad ogni singolo rilascio e mi diverte ogni volta che la riguardo, seppur con i suoi alti e bassi degni della gobba di Giulio Andreotti. Le critiche che possono essergli state mosse, e che gli ho mosso anche io in queste righe, sono ovviamente più che lecite e giustificate, ma a mio avviso bisogna comunque ricordare che i tre film si sono presentati semplicemente come delle commedie piacevoli e leggere da guardare, senza la pretesa di essere considerati dei capolavori, sebbene il primo film della trilogia possa ambire ad essere una pietra miliare della comicità odierna.

Ma questo era solo il mio parere. Nulla più.

P.S. Ora vado a montare un video con le foto fatte durante l’ultimo dell’anno con “Right Round” di Flo Rida in sottofondo. Non posso farne a meno.

Spilu

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