30 settembre 2015

Analisi di Assassin's Creed III

ovvero


L'inizio della fine


assassin's creed 3 analisi
Perché mi trovo in questo scontro?
Ma che importa? Andiamo ad uccidere qualche giubba rossa!

Rilasciato ormai la bellezza di tre anni fa, il titolo di punta di Ubisoft dell'anno 2012 ha continuato nel corso degli anni, e continua tuttora, a ronzarmi in testa come una simpatica zanzara nelle torride sere d'estate. Le incongruenze ed i buchi narrativi presenti in Assassin's Creed III sono infatti la base su cui è stata plasmata la forma mentis degli sceneggiatori che hanno partorito poi i pretestuosi intrecci narrativi poveri di contenuto in termini narrativi che Ubisoft ci ha mostrato nei due capitoli successivi. Nonostante il colosso francese abbia tentato in tutti i modi di nascondere la pochezza narrativa dei loro prodotti dietro ai fronzoli del sedicente "turismo storico" tanto odiato dai fan di vecchia data della serie, tutti i fruitori della saga, sia neofiti che storici, hanno notato un significativo calo qualitativo della trama principale e, sebbene sia Assassin's Creed: Brotherhood che Assassin's Creed: Revelations fossero già un sintomo del discostarsi della saga dall'originale idea di trilogia, il titolo “americano” è stato il primo segnale evidente del piegarsi del franchise al volere del mercato, anche a costo di snaturarne il cuore.

Visto che un’analisi riguardante Assassin's Creed III potrebbe condurmi a discutere di diversi suoi elementi in maniera disordinata e sconnessa, ritengo che l’unica maniera di non far deragliare il treno dei pensieri sul titolo sia quello di seguire il filo conduttore della sua trama e di discutere di ciò che verrà in mente di volta in volta lungo il percorso.

Cominciamo.

Assassin's Creed III si apre dove era terminato il titolo precedente, cioè con Desmond ed i suoi compagni Assassini in arrivo al Grande Tempio, il luogo in cui sperano di trovare il modo di salvare il mondo dall'imminente brillamento solare previsto per il 21 dicembre 2012. E prima ancora di prendere il controllo di Desmond è difficile che un vero appassionato della serie non qualcosa da ridire sui render dei personaggi, cambiati per la quinta volta in cinque titoli. Cambiare non è assolutamente un male. Con lo sviluppo di nuovi software ed hardware, rendere i personaggi più dettagliati e realistici è anzi quasi un obbligo per gli sviluppatori di un titolo videoludico, soprattutto se parte di un franchise di successo. Per il sollievo dei fan, Desmond abbandona la somiglianza con Niko Bellic di GTA 4 che aveva in Assassin's Creed: Revelations per ritornare ad assomigliare a Francisco Randez, modello su cui è basato l’aspetto originale del personaggio. Il personaggio di Rebecca presenta invece dei problemi. E’ comprensibile che agli occhi di molti dopo la morte di Lucy, avvenuta per mano dello stesso Desmond, il posto di Bond girl sia divenuto vacante, ma non è comprensibile la scelta di Ubisoft di riassegnarlo con forza a Rebecca alterandone in maniera eccessiva i tratti somatici, che erano invece rimasti inalterati nei capitoli precedenti, con lo scopo di renderla più affascinante. Ad Ubisoft sono effettivamente riusciti a trasformare Rebecca in Lucy. Nell'australopiteco, però. Le differenze che Rebecca ha con una bertuccia sono infatti davvero poche in Assassin's Creed III e successivi.

Subito dopo aver ottenuto l'accesso al Grande Tempio grazie alla Mela dell'Eden in suo possesso, Desmond diviene preda per l'ennesima volta dell'effetto osmosi e viene contattato da Giunone. Questa gli rivela che il metodo in grado di salvare il mondo dal brillamento solare è custodito dietro una porta che necessita di una chiave per essere aperta. In tutti i titoli della saga di Assassin's Creed il protagonista Desmond Miles rivive i ricordi di un suo antenato per un motivo preciso, come per esempio scoprire dove si trova un particolare oggetto nascosto dall'antenato in questione. Dopo la fine di Assassin's Creed: Revelations era lecito chiedersi in quale maniera Ubisoft avrebbe giustificato una nuova avventura nel passato di Desmond, soprattutto a poco tempo dalla fatidica data del 21 dicembre. La risposta è che Ubisoft giustifica l'intera avventura di Assassin's Creed III in maniera pretestuosa e poco elegante, fornendo il ruolo di elemento giustificante ad un oggetto mai apparso né nominato nei quattro capitoli precedenti. Questo è uno dei motivi per cui Assassin's Creed III ha ricevuto il titolo di “inizio della fine” in questo articolo. Da questo capitolo in poi, gli elementi da ricercare nell'avventura storica sono tutti oggetti mai apparsi né nominati in precedenza, sebbene la loro importanza ne avrebbe richiesto almeno una menzione. Alcuni esempi? Oltre alla chiave del Grande Tempio, possiamo elencare i Saggi, l'Osservatorio, le fiale di sangue o la Scatola dei Precursori. Tutti elementi inseriti con il solo scopo di giustificare una nuova avventura nel passato e che non fanno avanzare la storyline nel presente. Interessante anche notare che dopo la conversazione con Giunone, Desmond svenga e la cosa che il padre ed i compagni Assassini ritengono sia la più giusta da fare è rimetterlo nella macchina che poco tempo prima in una situazione simile lo aveva mandato in coma. Gli sceneggiatori di Ubisoft non hanno ben chiare le più comuni reazioni umane agli imprevisti, a quanto pare.

Successivamente il titolo decolla. Costretto da un pretesto poco elegante, Desmond inizia a rivivere i ricordi del suo antenato Haytham Kenway, gentiluomo inglese, nonché sosia di Mel Gibson, inviato nelle colonie britanniche nord americane dal leader della sua organizzazione con lo scopo di trovare un deposito costruito dai cosiddetti Precursori. Questa porzione di gioco è decisamente apprezzabile: la trama avanza in maniera fluida ed il ritmo lento con cui è narrata la rende un’ottima introduzione alla componente principale che, un qualunque giocatore che abbia visionato anche solo uno dei trailer, già sa che arriverà in seguito. Inoltre il colpo di scena che la trama propone poco prima di abbandonare il controllo di Haytham per passare poi a quello del figlio Connor, ovvero che l’uomo è un membro dell’Ordine dei Templari e non della Confraternita degli Assassini, come molti giocatori davano per scontato, è uno dei più apprezzabili dell'intero franchise. L’unico, ma gravissimo a parere di chi scrive, problema di questa prima porzione di gioco risiede nel fatto che, con il senno che si acquisisce dopo aver terminato il titolo, compone circa la metà dell’intero Assassin’s Creed III, sebbene si tratti solo di un’introduzione. Ciò non influisce solo ciò che è la percezione della trama del titolo, bensì anche quella del gameplay. Fino a che non si acquisisce il controllo di Connor, nella sua età adulta a voler essere più precisi, il giocatore non è infatti in grado di interagire con quasi nessuna componente secondaria del gameplay, costringendolo ad avanzare ciecamente all'interno della trama e quindi a godere di un titolo free roaming come se fosse invece uno scriptato videogioco impostato su binari.

In questa sede si vorrebbe evitare di raccontare in maniera dettagliata la trama di gioco, ma è purtroppo necessario per comprendere a pieno l’incoerenza che regna sovrana in tutta la sua seconda parte.

Il titolo racconta successivamente al giocatore di Connor, di come perda la madre in un incendio da bambino e di come brami poi da ragazzo di unirsi alle altre popolazioni indigene per respingere l’espansione coloniale dell’uomo europeo all'interno dei loro territori. Un giorno, grazie ad un manufatto antico custodito dalla guida spirituale del villaggio, entra in contatto con Giunone, che gli suggerisce di ricercare un simbolo che lo guiderà presso coloro che lo aiuteranno a combattere gli uomini che hanno intenzione di invadere il loro territorio e razziare il luogo a loro sacro. La leader del suo villaggio, alla vista del simbolo mostrato da Giunone al ragazzo, suggerisce a Connor di ricercare l’uomo che già aiutò sua madre tempo prima. E nuovamente Ubisoft dimostra di non avere chiari i meccanismi delle più classiche delle reazioni umane; Connor non chiede infatti alla donna niente riguardante l’uomo ed il rapporto che questo aveva con la madre e si limita semplicemente a partire. Connor raggiunge l’uomo, un vecchio afroamericano di nome Achille, e gli chiede di addestrarlo; il ragazzo ha infatti l’intenzione di diventare un guerriero in grado di salvare il proprio popolo dall'uomo bianco. Nel momento in cui Achille accetta di aiutare Connor ha però inizio una serie di eventi incoerenti scritti da uno sceneggiatore che ha dimostrato palesemente di credere che alcuni elementi potessero essere dati per scontato visto il titolo della serie. Andiamo ad analizzarli nel dettaglio. Achille riceve Connor nella sua casa e, senza presentarsi ed aver chiesto solo vagamente al suo ospite il motivo della sua visita, gli racconta la storia della millenaria guerra tra gli Ordini degli Assassini e dei Templari. Tralasciando il fatto che Ubisoft taglia tale parte, non mostrando al giocatore cosa effettivamente Achille sappia e racconti così al giovane riguardante la storia, è importante ricordare che Connor in realtà ignori chi siano gli Assassini ed i Templari e si sia recato lì con il solo scopo di effettuare un’addestramento. A quanto pare, secondo Ubisoft, però la storia raccontata da Achille è più che sufficiente per convincere un giovane a combattere un Ordine millenario di cui ha appena scoperto l’esistenza e Connor decide così di divenire un membro degli Assassini, di cui, ritengo sia utile ricordare, ha appena scoperto l’esistenza. Subito dopo, Achille mostra al suo nuovo allievo la cantina segreta in cui custodisce, senza un reale motivo, i dipinti dei più importanti Templari presenti nelle colonie, compreso quello di Haytham Kenway, padre di Connor. In onore di una ironica gioia dei giocatori che cercano in tutte le maniere di trovare una effettiva coerenza nella trama di Assassin’s Creed III, Connor riconosce il padre sebbene non lo abbia mai visto, in quanto abbandonò sua madre prima che lui nascesse, e sia più che pronto a dargli la caccia ed ucciderlo. Prima di chiudere questa importante porzione di trama, il titolo mostra al giocatore come, senza battere ciglio sul riconoscimento del padre da parte di Connor, Achille annuisca e si prepari ad addestrarlo. Per concludere questa analisi sulla coerenza e sul realismo del comportamento umano di questi pochi minuti di gameplay, vorrei infine far notare come Connor non chieda ad Achille come abbia conosciuto sua madre e quale fosse il rapporto tra i due. A quanto pare lo sceneggiatore, dopo aver scritto un’ottima introduzione alla trama, durante la scrittura di questa porzione aveva solamente a cuore che Connor diventasse un Assassino in fretta, senza curarne le motivazioni od il percorso.

Tralasciando il divertente e comico fatto che Connor scopre solamente dopo ben un anno di permanenza ed addestramento presso Achille della presenza di una nave arenata dietro all'abitazione e faccia solo in quel momento la conoscenza del suo capitano che vive anch'esso nella tenuta, la trama del titolo prosegue con l’ingresso del giovane indiano nell’Ordine degli Assassini e l’inizio della caccia ai Templari. Un problema riscontrabile da questo punto fino alla fine del titolo risiede nel fatto che la trama non è in grado di spiegare quale sia le reale motivazione che spinge Connor a cercare ed uccidere i Templari. La difesa del libero arbitrio in quanto membro degli Assassini? La libertà del suo popolo, messo in pericolo dall'espansione dei coloni europei? La vendetta nei confronti di Charles Lee e degli altri Templari che ritiene i colpevoli della morte della madre? In nessuna porzione di gioco viene specificato per quale causa effettivamente Connor stia lottando. Interessante anche ragionare sul fatto che per tutta la durata del titolo Connor aiuti i ribelli americani nella lotta per l’indipendenza dal regno britannico. Molti fruitori del titolo possono averlo dato per scontato vista la campagna di marketing proposta da Ubisoft riguardante la guerra d’indipendenza americana, ed è evidente che anche chi ha scritto la trama lo abbia fatto, ma, analizzando con attenzione le azioni e le parole del protagonista e non solo, si può notare come non esista una reale motivazione logica per cui Connor dovrebbe aiutare i coloni americani nella loro lotta. Oltre ad alcune circostanze particolari in cui un aiuto potrebbe portare giovamento alla sua caccia ai Templari, Connor non ha un reale motivo per combattere al fianco dei ribelli; entrambi gli schieramenti bramano le ricchezze dei nativi ed i Templari si nascondono tra le fila di entrambi gli schieramenti, eppure Connor aiuterà sempre i coloni americani nelle loro battaglie per tutta la durata del gioco. Politica filoamericana da parte di Ubisoft? Probabilmente involontaria, ma fortemente presente.

Dopo aver mostrato Connor assassinare due importanti Templari, il gioco indirizza il giocatore in quello che è probabilmente il peggior capitolo, sia a livello narrativo che di gameplay, mai presentato in tutta la saga di Assassin's Creed: la fatidica sequenza genetica 8 di Assassin's Creed III. Connor deve recarsi a New York per assassinare Thomas Hickey, Templare responsabile dei traffici illeciti in città nonché organizzatore di un piano per assassinare George Washington, che per l’analisi fatta nelle righe soprastanti Connor non avrebbe in realtà alcun motivo di proteggere. Dopo una sequenza in cui il titolo impone di iniziare la ricerca di Hickey non appena entrati in città, impedendone l’esplorazione, Connor individua il Templare e lo cattura. Notati dalle guardie cittadine tuttavia entrambi vengono arrestati e imprigionati. Grazie all'influenza dei Templari, Hickey verrà liberato mentre Connor condannato a morte con l’accusa di cospirare per assassinare Washington. Successivamente inizia il dramma videoludico, come se passare metà del capitolo a vagare per una cella, peraltro con una telecamera non programmata adeguatamente, non fosse già abbastanza vergognoso da questo punto di vista. Connor viene accompagnato al patibolo da Hickey in persona, un uomo che, è importante ricordare, era considerato un criminale il giorno precedente, sotto gli occhi di Washington. Poco prima che possa morire soffocato, riesce tuttavia a liberarsi grazie all'aiuto dei compagni Assassini. Sfruttando la confusione generale, Hickey ed i suoi fidati tentano di raggiungere il palco su cui si trova Washington per ucciderlo, ed il titolo offre solo pochi secondi al giocatore per intercettare i Templari e salvare il generale. Subito dopo la morte di Hickey, Connor viene accerchiato dai soldati americani, ma salvato dal generale Putnam. In questo momento, Connor chiede all'uomo di poter parlare con Washington, intenzionato a rivelargli che alcuni individui tramano per assassinarlo; Putnam tuttavia gli rivela che Washington si è allontanato dopo la sua presunta esecuzione e che è ormai distante e diretto a Philadelphia. L’incongruenza riguardante il momento della partenza per Philadelphia è disarmante in quanto pochi secondi prima è possibile vedere Washington; se non si fermano i Templari in tempo questi infatti uccidono realmente l’uomo. Ammettendo tuttavia, per assurdo ovviamente, che Washington sia partito effettivamente poco prima che Connor venga liberato, perché non è possibile raggiungerlo lungo la strada per parlargli? Trovare un motivo plausibile per impedire a Connor di parlare con Washington in questo momento della trama è stato un obiettivo palesemente non raggiunto da chi ha curato la trama di Assassin’s Creed III.

Purtroppo però lo scempio narrativo riguardante questa sequenza non è ancora terminato. Successivamente, insieme al suo maestro, Connor raggiunge Philadelphia, dove spera di incontrare Washington per avvertirlo del pericolo che corre. Visto che gli sceneggiatori non sono cambiati da quelli che hanno scritto la sequenza appena conclusa, Connor non riesce ad incontrare il generale, che ha fatto ritorno a New York. Tralasciando la comicità tipica di Benny Hill che è insita in quello che è appena successo, è interessante notare come il protagonista si ritrovi nella Indipendence Hall di Philadelphia il 4 luglio 1776, assistendo così alla ratifica della dichiarazione di indipendenza delle tredici colonie britanniche nord americane, mentre su schermo appaia la data 16 giugno 1775, probabilmente a causa di un errore di programma. Non solo questa breve sequenza filmata è inserita nel titolo con il palese scopo di mostrare al giocatore solamente un evento glorioso per la storia statunitense, anche perché non è utile ai fini della vicenda di Connor per i motivi appena visti, ma è addirittura mostrata con una data sbagliata.

Piccola curiosità. Come mai ci si è soffermati sul fatto che, appena giunti a New York, il titolo forzi l’inizio di una missione impedendo l’esplorazione della città? La mappa di New York presente in Assassin's Creed III è composta per un terzo da edifici distrutti, bruciati dal grande incendio che ha colpito la città nel 1776. Nel momento in cui Connor raggiunge New York tuttavia l’incendio non è ancora scoppiato, e quindi Ubisoft, per coerenza, avrebbe dovuto creare una mappa della città in perfette condizioni da esplorare prima dell’evento, ed una invece con una porzione distrutta per il periodo successivo. Questo sarebbe stato però ovviamente dispendioso sia a livello economico che di tempistiche per gli sviluppatori e quindi, obbligati dalla trama a far giungere il protagonista in città prima dell’incendio, hanno preferito con un escamotage di impedire al giocatore di esplorare la porzione composta da edifici distrutti alla prima visita. Almeno in questa sezione è stata mantenuta la coerenza storica. Curiosità nella curiosità. Inizialmente si era pensato addirittura di mostrare l’incendio nel titolo, ma i limiti dell’hardware delle console dell’epoca ne hanno fatto scartare la presenza già nelle prime fasi di sviluppo.

Il titolo mostra successivamente un salto temporale che porta il giocatore alla fine del 1777, circa un anno e mezzo dopo l’ultimo avvenimento mostrato. Connor litiga con il suo maestro, che vuole impedirgli di avvertire Washington del fatto che esiste una’organizzazione segreta che mira ad ucciderlo; l’indiano abbandona così la tenuta e si dirige Valley Forge, dove si trova l’accampamento dell’esercito americano. Questa breve sequenza introduttiva al nuovo capitolo fa intuire al giocatore che Connor ed il suo mentore abbiano discusso per un anno e mezzo se rivelare a Washington l’esistenza dei Templari o meno. Oltre ad essere difficile da credere, è anche divertente ragionare sul fatto che mentre i due discutevano sul da farsi, il generale avrebbe potuto essere ucciso. In un anno e mezzo di tempo i Templari avrebbero avuto il tempo di farlo. Perché allora il salto temporale? Ubisoft aveva probabilmente l’intenzione a questo punto della trama di mostrare al giocatore lo svernamento che l’esercito americano ha compiuto tra il dicembre 1777 ed il giugno 1778, anche a costo di sacrificare la logica della narrazione.

Quanti sono però gli avvenimenti storici mostrati al giocatore in Assassin's Creed III senza che questi fossero effettivamente utili allo sviluppo della trama? Qui non si vuole affermare che tutte le azioni di Connor non abbiano un senso, sebbene molte siano discutibili utilizzando la semplice logica, ma che per tutta la durata del titolo si ha la sensazione che siano forzate dalla mano invisibile dello sceneggiatore con il solo scopo di mostrare momenti cruciali della storia della nascita degli Stati Uniti d’America. Il massacro di Boston, il Boston Tea Party, la cavalcata di Paul Revere, le battaglie di Lexington, Concord e Bunker Hill, la firma della dichiarazione di indipendenza, ancora le battaglie di Monmouth e di Chesapeake Bay, oltre che gli incontri con Samuel Adams, Benjamin Franklin e altri, sono talvolta addirittura inutili al proseguimento della trama, mentre altre volte sembrano quasi incastrati a forza all'interno della narrazione, oltre che essere separati da salti temporali incoerenti, nei cui anni la caccia ai Templari del protagonista avrebbe potuto continuare. Se si dovesse fare un paragone con i tanto acclamati titoli precedenti della stessa serie, le vicende di Ezio sono personali e talvolta intrecciano personaggi o avvenimenti divenuto poi storicamente noti. Le vicende di Connor invece “inseguono” gli avvenimenti storici e mancano di parti strettamente personali. Se il gioco avesse avuto lo scopo di mostrare la nascita degli Stati Uniti d’America attraverso gli occhi di un nativo, invece che attraverso quelli soliti di un colono o di un inglese, sarebbe stato un ottimo videogioco; purtroppo però sulla copertina è in bella mostra il titolo Assassin's Creed. Se si considera inoltre che dialoghi che avrebbero donato maggior coerenza ad alcune scelte del protagonista e maggior spessore allo stesso sono stati scritti e registrati ma poi tagliati dal prodotto finale, ecco che Connor diventa il personaggio più piatto ed incoerente della storia del franchise.

Raggiunto Washington comunque, per la felicità della logica narrativa ed umana, Connor non gli parla di ciò di cui vuole avvisarlo da ormai un anno e mezzo e per cui ha litigato con il suo maestro. Sulle tracce del Templlare Church, l’Assassino incontra il padre Haytham, che dimostra di conoscerlo perfettamente. Esattamente come ad inizio titolo al giocatore non è dato sapere il perché Connor conosca il padre, in questa fase non gli è dato sapere nemmeno come faccia Haytham a conoscere il figlio. Bisogna ammettere che almeno su questo punto gli sceneggiatori di casa Ubisoft si sono dimostrati coerenti. Nelle fasi successive di gioco viene però nuovamente mostrata in maniere evidente l’incoerenza degli obiettivi e della fede di Connor. Durante una tregua, il padre gli mostra quali siano i reali obiettivi dei ribelli americani, che per un motivo imprecisato lui aiuta, oltre che a dimostrargli che il colpevole della morte di sua madre è Washington e non i Templari come lui credeva, eppure questo continua in maniera cieca ed irragionevole a voler a tutti i costi ed in maniera quasi maniacale ed ossessiva trovare ed assassinare Charles Lee.

Successivamente alla rottura della tregua con il padre, Connor si reca al suo villaggio, con l’intenzione di impedire ai suoi abitanti di attaccare i soldati americani, dove è costretto ad uccidere il suo amico di infanzia Kanen'tó:kon, accecato dall'inganno di Charles Lee. “Costretto” è però una parola un po’ troppo forte per definire quanto accaduto in quanto lo sforzo che il protagonista compie effettivamente per evitare di combattere con il suo migliore amico e convincerlo della bontà delle sue azioni è in realtà ben poco. Dopo un altro salto temporale che ha solamente il palese scopo di mostrare al giocatore la battaglia navale di Chesapeake Bay, Connor raggiunge New York, dove spera di trovare Charles Lee. Al suo posto trova però il padre Haytham, che Connor riesce ad uccidere dopo un violento scontro. Ciò che si ritiene utile analizzare di questa fase di gioco è la morte di Haytham Kenway per mano del figlio. Oltre ad essere una dimostrazione della scarsa fantasia degli sceneggiatori di Ubisoft in quanto la morte del Templare è identica a quella di Kanen'tó:kon, è anche l’ennesima prova della scarsa logica che permea i personaggi di Assassin's Creed III; mentre la morte di Kanen'tó:kon può essere giustificata con la sua non conoscenza delle lame celate, quella di Haytham no: l’uomo conosce molto bene la caratteristica arma degli Assassini in quanto lui stessa la utilizza da anni.

Ormai sulla strada della conclusione, Assassin's Creed III mostra il momento in cui Connor raggiunge la chiesa dove si sta tenendo il funerale del padre, dove ha intenzione di assassinare la sua nemesi Charles Lee. Ignorando lo strano fatto che Connor ritenga che la cosa più saggia da fare per uccidere il suo nemico giurato sia quella di raggiungerlo in un luogo pubblico nel quale sono riuniti un gran numero di membri dell’Ordine millenario che lo vuole morto da anni, è curioso e degno di nota il fatto che il funerale di Haytham si tenga nel 1782, ovvero un anno dopo la sua morte. E’ molto probabile che, dato che la morte di Charles Lee è storicamente datata 1782, si volesse mantenere questo dato anche nel gioco; ciò purtroppo risulta tuttavia in un salto temporale che ha nuovamente dell’incoerente, oltre che del tragicomico. Dopodiché il giocatore viene incanalato nell'ultima missione, che consiste in un inseguimento di Charles Lee all'interno di una nave in costruzione data alle fiamme, che si conclude con quello che è probabilmente lo schema più abusato per creare tensione sul finire di una storia: una scena in cui il protagonista è in difficoltà mentre il suo antagonista recita un monologo riguardante i suoi progetti per il futuro. Come potrà mai concludersi una scena del genere se non con un proiettile nello stomaco di Charles Lee in una scena che riporta alla mente quella del “duello” presente ne “I predatori dell’arca perduta”?

Purtroppo la questione riguardante la morte della nemesi di Connor non finisce con questo sempreverde cliché. A causa delle ferite riportate, Connor sviene ed il Templare si dà alla fuga. Rinvenuto poco tempo dopo, il protagonista individua e raggiunge Lee in una taverna, dove, in maniera molto romantica ma difficilmente spiegabile razionalmente, beve insieme a lui un bicchiere di whiskey prima di ucciderlo e recuperare la chiave del Grande Tempio di Giunone. Oltre ad essere una scena inutile ai fini della trama o dello sviluppo dei personaggi, Ubisoft dimostra ancora un’ultima volta l’incoerenza presente nella trama di Assassin's Creed III. Se pochi minuti prima gli sceneggiatori inventano un assurdo rito funebre celebrato un anno dopo la morte di una persona con il solo scopo di rendere la data di morte di un personaggio storicamente attendibile, perché non rendere anche il luogo della sua morte storicamente attendibile? Secondo i libri di Storia, Charles Lee muore infatti il 2 ottobre del 1782 in una taverna di Philadelphia a causa di una febbre molto alta. Sarebbe stato così difficile rendere il luogo dello scontro finale tra i due personaggi la città di Philadelphia, tra l’altro già utilizzata nel corso del gioco per mostrare eventi storici di propaganda statunitense completamente inutili ai fini dello sviluppo del plot narrativo? Oppure, sarebbe stato così difficile sviluppare l’ultimissima sezione in maniera tale che, dopo essere stato ferito da Connor, Lee si rechi a Philadelphia e muoia in una taverna a causa di una febbre causata proprio da un’infezione provocata dalle ferite riportate durante lo scontro? Si sarebbe evitata una scena inutilmente romantica ed una morte storicamente inesatta. Non si discute il fatto che uno sceneggiatore possa concedersi una licenza e slegarsi da dei paletti storici, ma dopo l’utilizzo di un assurdo salto temporale con il solo scopo di fare coincidere due date, è criticabile la scelta di non essere precisi fino in fondo per fare coincidere anche due luoghi.

Giunto a questo punto, il giocatore è pronto ad osservare la cutscene finale del titolo, riguardante Desmond ed i suoi compagni Assassini nella componente ambientata nel presente. Prima di parlare del finale di Assassin's Creed III, non si può però non discutere di ciò che combinano Desmond & co. all’interno del Grande Tempio durante la loro permanenza al suo interno. Visto il peso narrativo che la data del 21 dicembre 2012 aveva all'interno della serie prima del rilascio di Assassin's Creed III, Ubisoft aveva il dovere di rendere la componente del presente del suddetto titolo la più corposa ed importante mai apparsa all'interno della serie, impegno che il creative director Alex Hutchinson confermò più volte di aver preso durante la campagna di promozione. Ciò portò tuttavia i fan della serie a riporre nella componente del presente un livello di aspettativa molto alto. A posteriori, si può dire troppo alto. La parte ambientata nel presente del titolo è effettivamente la più corposa a livello di gameplay mai apparsa all'interno della serie, ma la sua gestione, sia a livello di gameplay che narrativo, è da mani nei capelli.

Esattamente come il motivo per giustificare una nuova esperienza nel passato ad inizio titolo, anche il pretesto inventato da Ubisoft per consentire al giocatore di controllare Desmond è piuttosto discutibile: oltre a necessitare di una nuova chiave per essere aperta, la porta che cela il metodo di salvezza in grado di salvare il mondo abbisogna anche di energia, che può essergli fornita solo attraverso quattro speciali fonti simili a cubi luminosi della dimensione di una palla. Per fortuna degli Assassini, o pigrizia degli sceneggiatori, la prima viene trovata sul pavimento del Grande Tempio, mentre le altre tre verranno localizzate in giro per il mondo in maniera sconosciuta da Shaun, e recuperate poi da Desmond in tre missioni diverse, ognuna delle quali presenta dei gravi problemi.

La prima di queste, probabilmente la migliore e quella meno bersagliata di critiche negative, consiste nello scalare dall'interno il One World Trade Center di New York ancora in costruzione con l’obiettivo di utilizzare la sua sommità come trampolino di lancio dalla quale paracadutarsi su un vicino grattacielo nel cui inaccessibile attico è custodita la fonte di energia localizzata da Shaun. Il gameplay del compito è lineare e l’ambiente di gioco ben costruito, oltre che la veduta notturna della Grande Mela, lo rendono piacevole da svolgere. L’unico problema sorge probabilmente al termine; dopo il lancio del paracadute, invece di far rubare manualmente la fonte di energia al fruitore del titolo, il gioco mostra una cutscene in cui Desmond trova ciò che cerca, venendo tuttavia colto sul fatto da un personaggio misterioso, da cui però riesce a fuggire. Per un fan della serie che abbia avuto la fortuna di leggere gli ottimi fumetti Assassin's Creed: The Fall ed Assassin's Creed: The Chain il vedere il personaggio di Daniel Cross all'interno di un titolo principale può essere sufficiente a dimenticare il fatto che la prima missione in cinque titoli in cui si impersona Desmond sia solamente un semplice esercizio di corsa acrobatica. Nel cuore di questo fan tuttavia non può che crescere in maniera più che naturale la speranza che le successive missioni ambientate nel presente, qualunque sia il loro numero, saranno fantastiche, soprattutto grazie alla presenza di Daniel Cross.

Ubisoft è però ormai esperta nel deludere le aspettative dei giocatori e nelle due missioni successivi riesce a distruggere, oltre che la coerenza narrativa e logica per l’ennesima volta, le caratterizzazioni di Warren Vidic e Daniel Cross, sviluppate in anni di videogiochi e fumetti ben scritti. Successivamente infatti gli Assassini si recano in Brasile, dove Shaun ha scoperto, in maniera piuttosto inspiegabile razionalmente, che una delle fonti di energia è stato incastonato sul bracciale di una ricca donna che assisterà ad un incontro di MMA a San Paolo. Evitando di ragionare sul come quattro persone ricercate in maniera più che assidua da un’organizzazione mondiale riescano a raggiungere il Brasile indisturbati e sul come un cubo di quelle dimensioni possa essere incastonato su un bracciale, è impossibile non soffermarsi sul fatto che Cross riesca per la seconda volta a farsi sottrarre la fonte di energia e a farsi sfuggire Desmond. Per chiunque non abbia letto Assassin's Creed: The Fall ed Assassin's Creed: The Chain, Daniel Cross è difficilmente inquadrabile a questo punto del gioco e poco più che un antagonista dalla dubbia intelligenza, per non definirlo un cretino dato che preferisce parlare al telefono piuttosto che fuggire, mentre chiunque lo conosca non può che non riconoscerlo più.

Il “meglio” tuttavia Ubisoft è riuscita a risparmiarlo per l’ultimo incarico di Desmond. Dopo aver individuato e tentato di recuperare l’ultima fonte di energia in Egitto, William, padre di Desmond, viene rapito dai Templari e condotto presso la struttura della Abstergo di Roma, lo stesso edificio in cui è ambientato il primo titolo della serie; per gli Assassini l’unica speranza di salvarlo è cedere al ricatto di Vidic e consegnare la Mela dell’Eden in loro possesso. Desmond si reca così a Roma e, sebbene abbia un appuntamento con Vidic in persona, preferisce raggiungere il suo ufficio in maniera silenziosa e senza dare nell’occhio, compito ovviamente impossibile, considerando anche il fatto che per farlo entra dall’ingresso principale. Sfuggendo alle guardie di sicurezza, che utilizzano un’arma semiautomatica moderna nella stessa maniera in cui i soldati settecenteschi affrontati da Connor utilizzano la loro pistola ad avancarica, Desmond è costretto ad affrontare ancora una volta Daniel Cross. Chiunque conosca il gioco, comprenderà l’ironia della parola “affrontare” dato che il compito consisterà nell’inseguire il povero Cross, impazzito a causa dell’effetto osmosi di cui soffre, prima di ucciderlo. In quei pochi secondi è possibile vedere come una software house sia in grado di distruggere l’immagine di quello che è probabilmente il meglio scritto personaggio della serie, che per i non lettori dei fumetti è, e rimarrà, solo un antagonista poco intelligente e dallo spessore millimetrico. Il disastro non finisce tuttavia qui; Desmond si fa strada fino all’ufficio di Vidic, dove trova il padre. Lì il Templare pretende che gli venga consegnato il Frutto dell’Eden, ed il protagonista fa ciò che qualunque persona dotata di intelletto farebbe in una situazione simile ma che gli sceneggiatori hanno dimenticato di far venire in mente al dottor Warren Vidic: utilizzare l’arma per uccidere i proprio nemici. Il villain principale della saga, che si era guadagnato la reputazione di avversario scaltro, intelligente e temibile, alla pari di quello che è il professor Moriarty per Sherlock Holmes, muore ucciso da uno dei suoi uomini controllati dalla Mela dell’Eden in una cutscene dalla regia dalla discutibile qualità.

Dopo aver analizzato ciò che porta gli Assassini verso il finale del titolo, è possibile osservarlo criticamente. Desmond & co. aprono la porta del Grande Tempio e raggiungono Giunone che mostra loro un dispositivo in grado di attivare uno dei sei metodi di salvezza che i mebri della Prima Civilizzazione utilizzarono senza successo nella loro epoca per contrastare l'apocalisse. Vengono però raggiunti in extremis da Minerva, la cui “presenza” è difficilmente spiegabile secondo le conoscenze fornite dal gioco e dalla saga tutta, soprattuto senza essere in possesso della guida ufficiale. Ed in extremis non è solo Minerva a giungere, ma anche l’ultima prova necessaria a dimostrare quanto poco curato sia stato dal punto di vista narrativo il titolo di punta di Ubisoft del 2012: solamente nella guida ufficiale sono infatti fornite le informazioni minime necessarie per permettere al giocatore di capire la natura dei metodi di salvezza ideati dalla Prima Civilizzazione, e quindi gran parte del plot narrativo dell’importante componente del presente di Assassin’s Creed III. Da notare il termine “minime” utilizzato; nemmeno con le informazioni in più fornite dalla guida rispetto al gioco è infatti possibile trovare le certezze assolute riguardanti il funzionamento, e la coerenza con gli episodi precedenti, dei sei metodi di salvezza e tantomeno l’apparizione finale di Minerva, le cui spiegazioni devono essere fornite attraverso una speculazione basata su informazioni non solide.

Il resto è Storia. Desmond sceglie di sacrificare se stesso e salvare il mondo, ignorando il monito di Minerva riguardante il piano malvagio di Giunone e aprendo la strada ad Ubisoft per sviluppo di titoli slegati tra loro e svincolati da paletti temporali limitanti narrativamente. E l’inizio della fine, citando il sottotitolo dell’articolo.

Rimane ben poco da criticare di Assassin’s Creed III dopo averne analizzata la trama. Non perché il resto non abbia dei problemi, ma perché oltre alla storyline principale il titolo ha ben poco da offrire. L’enorme mondo di gioco creato dagli sviluppatori di Ubisoft è ben poco sfruttato dalla quest di Connor e oltre la sua metà è godibile solo attraverso l’esplorazione personale del giocatore, che però non porta a nessuna ricompensa. Gli oggetti collezionabili sono pochi e presentano anch’essi dei problemi di coerenza legati trama principale. Che senso ha che Connor ricerchi per tutta la vita delle piume di aquila se erano utili solamente alla realizzazione di un rito, peraltro mai visto, ad inizio del gioco? Che senso ha che Connor ricerchi le pagine di un almanacco scritto da Benjamin Franklin se l’uomo chiese a suo padre Haytham e non a lui di cercarle il giorno stesso in cui questo giunse nelle americhe? Nessuno. Tuttavia, se la trama è incoerente, come pretendere che lo sia la raccolta di oggetti collezionabili? Le quest secondarie, più o meno legate alla trama principale, quasi indispensabili nello sviluppo di un open world moderno, sono pressocché inesistenti e quasi una presa in giro nei confronti di un giocatore. Perché un giocatore non può che sentirsi preso in giro se, dopo aver interagito con un personaggio sconosciuto, questo, senza pronunciare alcuna parola, fornisce, senza alcuna spiegazione, al protagonista un elenco di oggetti di cui ha bisogno. Ed il giocatore non può che sentirsi preso in giro se, dopo aver consegnato al misterioso personaggio gli oggetti presenti nell’elenco, questo gli dona in cambio del denaro sempre senza pronunciare alcuna parola. Ed il giocatore non può ancora che sentirsi preso in giro se, all’interazione con un altro personaggio misterioso, che il database afferma essere un postino settecentesco, questo, senza proferire parola, indica al protagonista quattro individui a cui consegnare delle lettere senza alcuna spiegazione. E come non sentirsi ancora presi in giro se i suddetti individui si trovano a pochi metri dal sedicente postino e se le lettere possono essere consegnate in qualunque momento in quanto la “quest” non prevede limiti di tempo?

Perché tuttavia porsi tutte queste domande quando lo sviluppo frettoloso ed incompleto, per stessa e postuma ammissione di un dipendente di Ubisoft, del sistema di crafting e delle missioni riguardanti la nascita dell’utopica comunità coloniale della tenuta di Davenport basterebbe a comprendere come le priorità di Ubisoft riguardanti la saga di Assassin’s Creed non comprendano più uno standard qualitativo rasente la perfezione tecnica e narrativa bensì la vendita su scala mondiale ad un target sempre più ampio e meno esigente? Ma in fondo qual è il senso di scrivere un’analisi negativa così lunga di un titolo che è stato un successo commerciale in ambito videoludico con ben pochi precedenti?

Spilu

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