ovvero
50 sfumature di... noia
La situazione più erotica del film: la locandina. |
Qualche mese fa ho guardato ed analizzato il film “Avengers Grimm”, uno dei “capolavori” rilasciati nel 2015 dallo studio cinematografica “The Asylum”, noto praticamente solo per la produzione di mockbusters. Nella speranza che i medesimi autori avessero donato all’umanità altre perle da guardare ed analizzare nello stesso periodo, sono andato alla specifica ricerca di “Bound”, mockbuster del ben più noto “50 sfumature di grigio”, rilasciato all’inizio del 2015 solamente pochi mesi prima di “Avengers Grimm”; e mai errore fu più grande. “Bound” è un film di basso livello, come è più che scontato, se non doveroso, attendersi dal lavoro di “The Asylum”. Insomma, quando una persona guarda un film prodotto da questi signori lo fa solamente per due motivi: per errore o perché alla specifica ricerca di spazzatura certificata da anni di esperienza nel settore. Esiste tuttavia un grande problema: questo film non è altro che un film di basso livello. Questo film non lascia nulla allo spettatore. Questo film è il nulla. Il livello qualitativo di “Bound” non è difatti né abbastanza alto da essere anche solo preso in seria considerazione dalla critica cinematografica né abbastanza basso da essere considerato un film trash da ricordare. Si trova bensì nell’odiosa via di mezzo che rappresenta l’oblio. Il nulla cinematografico. Non possiede quasi nessuna scena o battuta degna di essere ricordata negli annali del putridume cinematografico, se esistessero, ed è più che noioso a tratti. Sì, un film volutamente brutto che fa il verso di un film erotico è noioso. Difficile da immaginare, lo so. Eppure guardare per credere. “Bound” è infatti solamente un film da guardare e... semplicemente dimenticare.
Sebbene ci sia poco da dire su questa pellicola, andiamo ad analizzare “Bound”.
Il film apre con il titolo ed il logo “The Asylum”, ad indicare il fatto che lo studio grazie ai suoi “capolavori” abbia ormai raggiunto una tale fama (?) da poter mostrare in bella vista e con orgoglio il proprio nome all’inizio di una produzione invece di nasconderlo dietro titoli imitanti pellicole ben più note.
La successiva scena di apertura ci presenta subito la protagonista, Michelle Mulan, interpretata dall’attrice Charisma Carpenter, “nota” solo per aver recitato nella recente saga “The Expendables”. La donna sta avendo un rapporto sessuale con il suo fidanzato George, sebbene dal volto della donna sia più che evidente che l’unico a trarre piacere dalla situazione sia effettivamente lui, peraltro tirando urla degne di un sollevatore di pesi sull’orlo di farsela addosso. Ad ulteriore prova dell’insoddisfazione sessuale della donna, subito dopo la conclusione del rappporto, Michelle manda via da casa propria il fidanzato con una scusa per poi masturbarsi con un vibratore.
Quando è che finisci, caro? Avrei da stirare. |
Subito dopo facciamo la conoscenza di ciò che Michelle fa per vivere e per mantenere la lussuosa ed enorme casa vista nella scena precedente; la donna è un agente immobiliare di una grossa azienda che si trova tuttavia sull’orlo del fallimento. Scopriamo inoltre che è stata appena ammessa nel consiglio di amministrazione e che ha ricevuto la promozione solamente perché il presidente dell’azienda altri non è che il padre, Walter, interpretato da Daniel Baldwin. E qui non può che sorgere spontanea una domanda: perché tra i fratelli Baldwin serpeggia questa passione per i film di bassissimo livello? Un giorno potrei infatti parlarvi del ruolo da protagonista che William Badlwin ha nel film “Shark in Venice” al fianco di Vanessa Johansson, sorella di Scarlett Johansson. Quello sì che è un film esilarante.
Sì, sono in un film di m***a e non sono nemmeno il protagonista. |
Michelle è maltrattata dai suoi nuovi colleghi del consiglio di amministrazione che non la ritengono all’altezza del nuovo compito che le è stato affidato dal padre, che la ritiene invece l’unica in grado di aiutare la compagnia ad effettuare una fusione con una rivale del settore, unico modo per evitare il fallimento totale.
Terminati i suoi impegni in ufficio, a sera ormai inoltrata, Michelle fa ritorno a casa... in slow motion.
Mi soffermo parecchio su questa scena di pochi secondi perché, oltre a non avere una reale motivazione per essere stata girata con questa particolare tecnica, è solamente la prima di molte. La sensazione che si ha per tutta la durata del film è che l’unico modo che i ragazzi di “The Asylum” avessero per fare in modo che “Bound” durasse almeno novanta minuti, la durata che nell’ideale collettivo è la minima per fare in modo che un lungometraggio sia degno di questo nome, fosse quello di allungare alcune scene semplicemente rallentandole. Tecnica non dissimile da quella degli studenti che cercano di allungare il proprio tema andando a capo dopo ogni singolo punto.
Mentre Michelle si beve un bicchiere di vino in cucina, scopriamo che la nostra protagonista ha una figlia, Dara, che veniamo inoltre a sapere essere minorenne, particolare importante nelle fasi avanzate del film (ops, spoiler). Inoltre, visto che, presa dal suo nuovo lavoro, nell’ultimo periodo Michelle non ha decisamente dedicato abbastanza attenzione all’economia domestica, in casa non si trova assolutamente nulla da mettere sotto i denti; motivo per cui la donna decide di andare a cena fuori con la figlia. Chissà perché nelle enormi ville dei ricchi, che probabilmente hanno anche più di una cucina, non c’è mai nulla da mangiare? Ve lo siete mai chiesto?
Michelle e la figlia Dara si recano quindi in un ristorante, dove diviene più che evidente che alla scuola di recitazione dove le due attrici hanno studiato non viene trattata la lezione in cui si insegna a fare finta di mangiare durante i pasti. O almeno le due erano assenti durante quella particolare lezione visto che non fanno altro che ravanare con la forchetta nel piatto senza mai nemmeno tirare su niente. Anche se è molto più probabile che le due una scuola di recitazione non l'abbiano nemmeno mai vista! Credo che difficilmente un attore degno di questo nome si abbassi a lavorare per un film prodotto da “The Asylum”.
Comunque sia, al ristorante facciamo la conoscenza di quello che poi si dimostrerà essere il coprotagonista del film: Ryan. Il ragazzo, sebbene si trovi al bancone del bar del locale con una ragazza, passa il suo tempo ad osservare Michelle, peraltro in maniera piuttosto inquietante. Nel corso di tutta la cena tra Michelle e la figlia Dara, il ragazzo passa infatti diverse volte a fianco del loro tavolo fissando in maniera morboso la donna. Ovviamente in slow motion. Perchè fa più fico. No? Eppure è quello che succede ad ogni apparizione di Edward Cullen in tutta la “Twilight saga”. E ad ogni apparizione la biancheria di milioni di ragazzine in tutto il mondo sembrano le spiagge del sud est asiatico durante lo tsunami del 2004.
Sono piuttosto convinto che gli sceneggiatori non volessero che lo sguardo di Ryan ad ogni sbirciata di Michelle fosse un misto tra quello di un tirannosauro affamato e quello di Samara Morgan bensì semplicemente quello di un uomo interessato ed attratto da una bella donna. A quanto pare però al regista piaceva di più così. Sicuramente è più divertente.
Giustamente messa sotto pressione dallo sguardo inquietante del ragazzo, Michelle invita la figlia ad uscire velocemente dal ristorante e le due tornano così subito a casa. Al loro arrivo, notiamo tuttavia che la macchina di Michelle non ha la targa.
Ma la macchina è per caso rubata? |
Incuriosito dal dettaglio, ho posto particolare attenzione a tutte le scene in cui appare l’auto, sia precedenti che successive a questa, per controllare se possiede o meno la targa. E ce l’ha in tutte! Mi sono quindi chiesto: perché l’auto non ha la targa solamente in questa particolare scena, che è peraltro l’unica in cui è al centro dell’inquadratura? Non ho trovato una risposta.
Michelle spedisce la figlia in casa a dormire e fa ritorno al ristorante poiché ha dimenticato sia di firmare il conto saldato con la carta di credito che di ritirare la carta stessa. Dopo essere tornata al ristorante con una scena di pochi secondi in grado di distruggere le retine di qualunque essere umano e far venire la nausea ad un ottovolante...
Michelle espleta le formalità riguardanti il conto e recupera la sua carta di credito, incontrando tuttavia il ragazzo inquietante che la osservava durante la cena poco prima. Dopo essersi presentato, Ryan trascina la donna al bar per fare due chiacchiere con lei, sebbene dal suo sguardo sia evidente che tutto vorrebbe fare con Michelle tranne che parlare. E come dargli torto? La prova delle intenzioni di Ryan la si ottiene già dopo pochi secondi; il ragazzo offre una sigaretta a Michelle, che però confessa di non aver mai fumato e di non sapere nemmeno come farlo, ricevendo di risposta così precise istruzioni da Ryan:
Proprio così. “Just suck and blow”. Se avesse aggiunto “bitch” alla fine, sarebbe probabilmente partita la ola nel bar.
Sebbene si conoscano solamente da pochi secondi, Michelle lascia che Ryan inizi ad allungare le mani sulle sue cosce ed i due cominciano a limonare duro sul divanetto del lounge bar come due quattordicenni arrapati. Purtroppo per Ryan, durante il successivo montaggio degno dell’introduzione di un film porno soft, Michelle non fa che ripetere quello che si rivelerà essere il suo motto per tutta la durata del film: “I can’t”. Nonostante per l’intero film la donna si dimostrerà essere infatti una sorta di cagna sul punto di entrare in calore non farà che ripetere in continuazione a sé stessa ed a chi le sta intorno che lei non dovrebbe trovarsi in certe situazioni che reputa spiacevoli. “I can’t”, appunto. Risvolto psicologico interessante della protagonista, se Michelle avesse un profilo psicologico. Ricordiamo infatti che la pellicola è prodotta da “The Asylum” per cui i suoi personaggi non possono avere un approfondimento psicologico. Molti non hanno nemmeno un cognome. O un nome. Il motto di Michelle “I can’t” ha infatti solo la scopo di rompere le scatole a Ryan, allo spettatore e di ritardare l’esplosione della perversione di Michelle, che poi non arriva nemmeno. Ma lo vedremo più avanti.
Michelle abbandona Ryan al bar, prendendo però un biglietto su cui il ragazzo scrive il suo numero di telefono. Appena tornata casa, Michelle getta tuttavia il foglio nel cestino della spazzatura con l’evidente intenzione di lasciarsi il ricordo della serata alle spalle.
Già il giorno successivo, sia a casa che sul posto di lavoro, Michelle sente però più volte la forte tentazione di telefonare a Ryan, senza tuttavia riuscire mai a trovare il coraggio di comporre effettivamente il numero. In queste sequenze, che durano degli interi minuti, si sente ancora piuttosto fortemente il tentativo degli sceneggiatori di allungare la pellicola con una lotta interiore tra i desideri di Michelle e la sua coscienza, che però non approfondisce in alcun modo l’aspetto psicologico del personaggio. Come detto, la protagonista non ha alcun profilo psicologico. Si parla infatti di tre scene identiche, che differiscono solamente della location, in cui Michelle compone il numero di telefono che ha scritto sul biglietto per poi rinunciare ad effettuare la telefonata. La prima di queste può essere utile allo sviluppo della storia. La seconda è ripetitiva. La terza è ciò che fa venire voglia allo spettatore di lanciare qualcosa contro il televisore.
E’ tuttavia d’obbligo spezzare una lancia in favore di Michelle in quanto durante il terzo tentativo di telefonare a Ryan viene interrotta dal campanello di casa. Importante è notare il fatto che, per andare ad aprire alla porta di casa, la nostra protagonista lasci sul suo letto sia telefono cellulare che numero del giovane oggetto delle sue fantasie erotiche, che vengono inquadrati per un paio di secondi dalle potenti telecamere della “The Asylum”.
Bel copriletto. |
Dopo una simile inquadratura cosa è lecito attendersi? Ovviamente che qualcuno che non dovrebbe sapere di Ryan, per esempio il fidanzato di Michelle, George, scopra della tresca della compagna e decida di troncare la sua relazione con lei. E invece no. Sebbene alla porta di casa di Michelle ci sia effettivamente George, non accade nulla di tutto ciò. Anzi, è proprio la donna a troncare la relazione con il proprio fidanzato, rifiutando la sua proposta di matrimonio. E quindi, cara “The Asylum” e soprattutto caro regista Jared Cohn, a cosa diamine è servito inquadrare il telefono sul letto in quella maniera? Ti piaceva il contrasto del colore dell’apparecchio con quello del copriletto?
Il giorno successivo, Michelle tenta nuovamente di chiamare Ryan. E nuovamente rinuncia. E si può affermare tranquillamente che chiunque non abbia ancora rinunciato a guardare il film dopo l’ennesima scena del genere ha una pazienza infinita. Quindi posso dire di avere una pazienza infinita. Fortunatamente per lo spettatore, questa serie di scene senza sbocco è interrotta da Ryan, che infine contatta Michelle per primo. Si sa, aspettare il momento in cui una donna compie il primo passo in un rapporto equivale ad attendere un autobus nel deserto del Sahara. Durante una tempesta di sabbia.
Ryan la invita in una villa in cui si sta svolgendo un servizio fotografico con delle ragazze in costume. Il perché lui si trovi lì non è assolutamente specificato. Nè mostrato. Non è un fotografo. Non è un modello. Non uno stilista, né un truccatore, nè un assistente o altro. Lui si trova lì e beve dei drink a bordo piscina. E basta. Il lavoro dei sogni! Comunque sia, Michelle lo raggiunge, rinunciando ad un pranzo di lavoro appena fissato con uno dei responsabili dell’azienda con cui quella della donna dovrebbe effettuare la fusione. Non c’è che dire, Michelle, tuo padre ha fatto proprio bene ad affidare un tale incarico proprio a te!
Interessante è inoltre il fatto che, appena arrivata alla villa in questione, Michelle si soffermi a parlare alcuni minuti con uno dei responsabili del servizio fotografico. Chi sarà mai costui? Come influirà sulla trama del film? Volete già la risposta? Suvvia, non è ovvio? In nessun modo! Sebbene abbia parecchie battute, peraltro futili, da scambiare con Michelle quest’uomo senza nome appare ora... e basta. Sarebbe un po’ come se alla recita di Natale, Giuseppe parlasse per dieci minuti del meteo con un uomo di passaggio. E in un film della durata di un’ora e mezza, dieci minuti non sono pochi.
Dopo aver congedato l’uomo misterioso, Michelle raggiunge finalmente Ryan, che saluta con un abbraccio. Tutto ciò mi è sembrato molto strano. A parte il fatto che notoriamente per un americano salutare in una maniera che non sia la stretta di mano è molto inusuale, Michelle ha congedato freddamente la sera precedente il ragazzo che la aveva messa decisamente a disagio con il suo comportamento. E’ evidente che ora abbia deciso di incontrarlo nuovamente solo perché, sebbene sia inquietante, in un qualche modo risveglia le sue fantasie sessuali represse, ma perché comunque salutarlo ora con un caloroso abbraccio, tipico di amici di lunga data? La conferma del fatto che gli sceneggiatori non abbiano in alcun modo idea di come fare sentire Michelle al fianco di Ryan la sia ha subito: la nostra protagonista passa dal sentirsi totalmente a disagio a totalmente a suo agio e viceversa tre volte nel giro di pochi minuti. E tutto ciò sembra nuovamente essere uno strategemma per allungare un film che di sostanza ha nulla. Siamo infatti ormai arrivati ad un terzo di film e non si è ancora vista una scena erotica. Nemmeno mezza. Nemmeno mezza coscia nuda in un frame nascosto alla “Fight Club”. Niente di niente. In un film erotico. In un film erotico brutto.
I due abbandonano la villa poco dopo in pieno pomeriggio e... a notte fonda lei lo porta a visitare il suo ufficio. Domanda lecita e spontanea: cari Michelle e Ryan, che caspita avete combinato durante il resto della giornata? Non si sa. L’unica cosa certa è che la donna ha saltato il pranzo di lavoro. Nemmeno con tanta buona volontà sono riuscito a colmare le incongruenze temporali in questa parte di film. Vi sfido a farlo.
Comunque sia, questi dettagli possono essere dimenticati alla luce del fatto che è ormai più che lecito attendersi una scena di sesso. E qualunque dettaglio passa in secondo piano quando sullo schermo c’è una bella ciulata! Peccato che non ci sia ancora alcuna ciulata.
Ryan si fa condurre nell’ufficio del padre di Michelle. Perché? Bella domanda! Dieci punti a Grifondoro! Ecco... Perché lo eccita di più? Non ne ho idea...
Lì la donna confessa alcune sue represse fantasie erotiche, dopodiché Ryan passa a leccarla lì dove non batte il sole, sopra alla scrivania del padre di Michelle a ritmo di una musica degna di un porno soft anni ‘90, e poi...
E poi basta! E’ già troppo per il budget concesso da “The Asylum” per la produzione di questo film. Il ragazzo fa rivestire Michelle e, dopo aver messo in chiaro che deve chiamarlo “padrone”, la porta in un locale di sua conoscenza. Tra inquadrature in grado di scatenare più risate che eccitazione sessuale, scopriamo che Ryan è l’assiduo frequentatore di un locale dove si pratica BDSM.
Cosa accadrà mai lì dentro a Michelle? Nulla, ovviamente. Ryan la prende per mano e la trascina fuori, portandola nel vicolo retrostante, dove prova per l’ennesima volta ad avere un rapporto sessuale con lei. E per l’ennesima volta Michelle ripete il suo motto. “I can’t”. Con ragione, aggiungerei. In quel vicolo io non ci abbandonerei nemmeno il mio peggior nemico, figuriamoci avere un rapporto sessuale. Viene lecito chiedersi allora: perché Ryan non si è ciulato Michelle in ufficio nell’unico momento in tutto il film in cui lei non faceva la noiosona ed era pronta a sganciargliela su un piatto d’argento? L’ufficio non era abbastanza eccitante? Cosa devo fare per vedere una scena di sesso? Andare su YouPorn? Meno male che a tirare su il morale dello spettatore c’è l’uomo mezzo nudo con la maschera di pelle che si fuma una sigaretta nel vicolo a fianco dei due protagonisti.
E allora? Non si può fumare? |
Di cui abbiamo anche un bellissimo primo piano.
Ma miao! |
Grazie. Meno male che sei tu ad impedirmi di distruggere la pellicola.
Ryan porta Michelle a casa sua, dove finalmente si consuma il rapporto sessuale tra i due. Più o meno. E’ comunque molto più divertente che eccitante. In una stanza piena di strumenti dal dubbio utilizzo, Ryan fa spogliare Michelle, dopodiché la lega e la benda. Successivamente, attraverso dissolvenze generate solamente della più vecchia versione di Windows Movie Maker esistente, Ryan finalmente riesce a consumare il suo rapporto sessuale con la bella Michelle, sebbene la sensazione è che la stia minacciando alla schiena con un coltello.
Interessanti sono anche i pochi secondi in cui il montaggio riprende il battito cardiaco (credo) come ritmo per le dissolvenze.
Lo so, non hanno senso né utilità, a meno che lo scopo non fosse quello di fare sorridere lo spettatore. O scandalizzarlo.
Al termine del rapporto, i due si scambiano qualche tenera effusione come farebbero due innamorati, ma vengono interrotti dalla telefonata di Walter, padre di Michelle, leggermente (e giustamente) arrabbiato con la donna, rea di aver mandato a monte l’accordo con il loro socio con l’assenza al pranzo di lavoro.
Il giorno successivo, George raggiunge casa di Michelle mazzo di fiori alla mano per tentare di recuperare il rapporto con lei. La nostra protagonista tuttavia lo respinge e tronca definitivamente la relazione con lui. Ho trovato tuttavia difficile seguire il dialogo tra i due a causa delle inquadrature scelte dal regista.
Che scomodità girare questa inquadratura. |
Non tanto perché in grado di far venire il mal di mare al Titanic quanto più perché non riuscivo a smettere di immaginare il cameraman nascosto dietro la porta per non essere inquadrato dal suo collega dall’altra parte dell’inquadratura in qualche strana e scomoda posizione pur di fare il suo lavoro.
Successivamente Michelle esce con il suo nuovo “ragazzo”, che entra in scena con il solito slow motion degno del moviolone di Aldo Biscardi.
Il fatto che Ryan abbia un’autista personale potrebbe condurci a pensare che sia un uomo molto ricco. Purtroppo non lo sapremo mai. Ovviamente, aggiungerei. Perché aspettarselo? In fondo il film arriva a novanta minuti grazie a degli slow motion.
I due “innamorati” si dirigono ad un ricevimento di beneficienza organizzato dall’azienda di Michelle, dove la donna avrà l’occasione di scusarsi con i soci dell’azienda concorrente con cui avrebbe dovuto incontrarsi il giorno precedente. Durante il viaggio in macchina, arriva l’inizio dell’oro, o del putridume, del film: Ryan regala alla protagonista un giocattolo erotico di silicone viola a forma di pennuto.
No, non è una candela profumata. |
E le ordina di metterselo nelle mutande. E lei lo fa. Ok... No comment. E come se ciò non bastasse, lui mostra subito di essere in grado di attivarne la vibrazione a distanza per mezzo di un telecomando. Di nuovo, ok... E di nuovo, no comment.
Con uno sguardo degno di Linda Blair in “L’esorcista”, Ryan conduce Michelle nel bagno della villa in cui si tiene il ricevimento, dove tenta di avere dare sfogo nuovamente alle sue fantasie erotiche.
Il mio tessssssssssoro! |
I due vengono tuttavia interrotti ed obbligati ad uscire all’esterno della stanza, dove Michelle incontra l’uomo con cui avrebbe dovuto incontrarsi al pranzo d’affari il giorno precedente e dove in pochi secondi è possibile ammirare la stronzaggine del coprotagonista in tutto il suo splendore:
1) Risposta di una educazione oxfordiana al cliente di Michelle
2) Attivazione giochino erotico di fronte al cliente di Michelle
E tutto ciò non è una barzelletta sconcia. Succede per davvero.
Sebbene sia arrabbiata con Ryan per averle quasi fatto perdere il posto di lavoro, Michelle mostra di non avere alcuna intenzione di troncare la relazione con lui e addirittura qualche sera più tardi cerca di avvicinarsi maggiormente al mondo BDSM a cui la sua nuova fiamma l’ha introdotta. Come? Beh, ovviamente guardando un tutorial su internet. In cui una ragazza mostra la maniera corretta di sculacciare. Mostrandolo su una sorta di balena sdraiata supina su un lettino.
E’ proprio vero che su internet si trova di tutto. Ed è vero che più ci si impegna di fare qualcosa di erotico più si cade nel comico.
Il giorno seguente, Michelle subisce la giusta lavata di capo di papà, che la biasima per come ha gestito l’incarico che le era stato affidato, ma soprattutto per il comportamento del suo compagno al ricevimento di qualche giorno prima. La nostra protagonista per tentare di uscire dai guai fa allora ricorso al suo secondo motto: “I’m sorry”. Lo ipeterà circa una decina di volte nei successivi dieci minuti. Dieci minuti. Il tempo che dura il dialogo tra Michelle ed il padre, nonché boss, Walter. Che è anche il tempo in cui tra un “I’m sorry” e l’altro di Michelle non si può non cominciare a chiedersi: ma questo è davvero un film erotico? In più di un ora, nonché tre quarti di film, si è vista solamente una scena di sesso e la parte più approfondita della trama è quella legata alla carriera della protagonista.
A quanto pare “Bound” ha il potere di ascoltare le lamentele dei suoi spettatori in quanto subito dopo ci catapulta in una scena di sesso tra la protagonista e Ryan. Tuttavia, a dispetto del titolo del film e del film a cui si “ispira”, il rapporto sessuale in questa scena è del tutto convenzionale. E’ anzi possibile notare addirittura una punta di romaticismo nelle coccole che i due si scambiano dopo aver consumato il rapporto. Ma che tenerelli!
Durante le effusioni, Michelle chiede alla sua fiamma se un giorno potrà essere lei a fare la parte della dominatrice del rapporto, ma il ragazzo le risponde negativamente con tono deciso e senza ammettere repliche. Poi sbatte Michelle fuori di casa. Perché? Non si sa. Ovviamente. E la donna non si pone il problema. Esce. Semplicemente.
Esce e si reca in un sexy shop, dove acquista un abito adatto per poter partecipare in maniera più attiva alle attività organizzate all’interno del locale BDSM che Ryan le aveva mostrato ed in cui ha intenzione di impratichirsi nel ruolo della dominatrice. Nel locale, Michelle fa la conoscenza di Alana, una dominatrice intenta ad addestrare una ragazza al guinzaglio come un cane. Ancora titubante sui ruoli di dominatore e dominato in questa tipologie di pratiche erotiche, Michelle chiede alla ragazza-cane se le piaccia o meno essere tratta come un animale. E lei risponde di sì annuendo con la testa.
E’ una scena semplice. Naturale. Che mi ha fatto scompisciare dalle risate! La guarderei e riguarderei per ore! Mi è piaciuta e mi ha fatto ridere non tanto per la situazione, in quanto non giudico i gusti e le perversioni sessuali di nessuno, quanto più per la naturalezza della risposta della ragazza in grado di fare quasi tenerezza.
Nota di redazione. Il nome Alana della dominatrrice è preso dalla scheda del film sull’Internet Movie Database in quanto ovviamente nel film non viene specificato.
La fantomatica Alana prende Michelle in simpatia e la mette in guardia riguardo Ryan, che a quanto pare è un maniaco in grado di prendere il controllo non solo sulla vita sessuale di una compagnia bensì sulla sua intera vita. Decide così di mostrarle il mondo dei dominatori nelle pratiche erotiche BDSM in maniera tale da riuscire a tenere testa a Ryan; le insegna così come frustare una persona, facendola esercitare su un uomo vestito di pelle nera legato ad una croce.
Avete presente quel momento presente in numerosi cartoni animati o videogiochi per bambini in cui il protagonista effettua un allenamento specifico prima di affrontare il nemico finale? Ecco, la sensazione che si ha guardando questa scena è esattamente lo stesso. Michelle si allena per affrontare Ryan, il suo nemico.
Esatto, Ryan è il suo nemico. Perché? Perché nella scena successiva si fa sua figlia nel suo letto! Esatto. E ora sfido chiunque non lo avesse già pensato a provare a dire che Ryan non è uno stronzo. Che sia per gelosia, perché sta utilizzando il suo letto senza permesso o perché sua figlia è solo una ragazzina (spero la motivazione scelta dagli sceneggiatori sia questa), Michelle caccia Ryan fuori di casa. E basta. Niente legnate o telefonate. Lo caccia semplicemente. E lui se ne va tranquillo come chi ha appena visto il dito del professore scorrere oltre al proprio nome sul registro di classe il giorno dell’interrogazione.
Subito dopo, Michelle si occupa della figlia, in lacrime per ciò che è appena successo. E la consola. E la abbraccia. E si ripetono a vicenda il motto “I’m sorry”. Per diversi minuti. Tra un abbraccio e l’altro. Ma... solo mia madre mi avrebbe ammazzato di botte dopo una situazione del genere?
Successivamente la pellicola bombarda lo spettatore con altri dieci minuti di scena in ufficio. E per altri dieci minuti lo spettatore non ascolta ciò che i personaggi dicono perché intento a chiedersi: “ma questa parte riguardante la carriera di Michelle è davvero così importante?” Non gliene frega niente a nessuno, zia “The Asylum”. Hai prodotto un film erotico. Dovrei vedere un altro tipo di scene. Soprattutto dopo che Ryan ha ufficilamente guadagnato il ruolo di antagonista del film.
Michelle riceve degli sms minatori da Ryan e così, in una scena in cui i colori sembrano i figli di un’orgia tra il carnevale di Rio de Janeiro, una pellicola degli anni Venti più che rovinata e dei filtri di Instagram per Hipster, decide di recarsi dall’ex amante per la resa dei conti.
Dopo aver smaltito l’indigestione di colori, Michelle raggiunge la casa di Ryan, dove possiamo assistere a quello che per me è la scena clou della pellicola. La donna bussa alla porta dello stronzo da combattimento; questo apre e riceve un pugno in pieno viso, cadendo a terra a DESTRA dell’inquadratura. Dolorante alla mano, Michelle avanza all’interno della casa, venendo tuttavia aggredita da Ryan, che arriva dalla SINISTRA dell’inquadratura successiva.
Abbiamo quindi scoperto che Ryan possiede il potere di teletrasportarsi. Oppure semplicemente il film è girato con il culo. In questo caso sarebbe però il regista ad avere un grande super potere. Od il suo culo. Scegliete voi. Le differenze sono comunque probabilmente poche.
Grazie all’aiuto di una teelcamera utilizzata come clava, Michelle riesce a stendere Ryan, che poi lega nella sua stanza delle perversioni. Lì Michelle gli lega il pene ad lazo (sì, esatto, avete letto bene) ed inizia a frustarlo per vendicarsi di ciò che lui ha fatto a sua figlia. Ad ogni frustata la retine di chi guarda il film vengono aggredita da un flash luminoso, al termine del quale sul corpo di Ryan appaiono dei segni rossi che sembrano più del trucco indiano da guerra che delle vere e proprio ferite.
Al termine del trattamento, Ryan viene liberato ed è costretto a cedere il ruolo di padrona e dominatrice a Michelle, che lo informa di averlo denunciato per aver avuto un rapporto sessuale con una ragazza minorenne. La sequenza si dissolve lentamente su questa inquadratura di Ryan:
La solitudine fra noi, questo silenzio dentro me... |
Se al termine Ryan si fosse alzato ed in mezzo a quel fascio di luce avesse iniziato a cantare mestamente “Non, Je ne regrette rien” avrei totalmente cambiato idea sul film e lo avrei eletto a capolavoro del trash. Purtroppo però a “The Asylum” non sono nemmeno più in grado di fare un bel film brutto.
Come direbbe il Califfone nazionale, il resto è noia. Nel senso che siamo arrivati sui gomiti ad un ora e venti di film ed in qualche modo bisogna raggiungere i canonici novanta minuti. Cosa succede allora? Riempitivo. Un po’ come i telefilm di Mister Bean su Mediaset. Solo che qui il riempitivo è rappresentato da ben meno divertenti dieci minuti in cui Michelle, ormai sicura di sé, riesce a risollevare le sorti della sua azienda e riceve una nuova promozione da papà Walter. Credo. Sfido chiunque a guardare gli ultimi dieci minuti di “Bound” con attenzione. Come ho già detto, è molto difficile seguire con attenzione la componente della trama legata alla carriera lavorativa di Michelle. Quindi... fregacazzi di ciò che accade e finalmente titoli di coda.
Ah, sì. Prima dei titoli di coda la nostra cara Michelle si fa anche il proprietraio dell’azienda con cui la sua riuscita a combinare la fusione. Questa volta però da dominatrice. Perché ora è una predatrice sicura di sé.
Mi chiederete: “ma quindi in questo film in fondo è anche presente una sorta di morale? Insegna che se si è sicuri di sé si riesce ad ottenere ciò che si vuole.” No, cari Padawan, perché Michelle “convince” il proprietario dell’azienda concorrente a trovare un accordo con la propria solamente minacciandolo di divulgare alcune foto in cui appare in atteggiamenti potenzialmente compromettenti per la sua reputazione. Quindi “Bound” è semplicemente e solamente il solito film brutto prodotto da “The Asylum”. Anzi, peggio. E’ anche noioso.
Questa è la morale del film, stronzo! |
Consiglio del vostro Spilu, che è anche lo stesso consiglio che diedi a chi mi chiese qualche mese fa se secondo me avrebbe valso la pena andare al cinema per guardare “50 sfumature di grigio”. Volete guardare una scena di sesso? Guardate un film porno! Fate prima.
Spilu
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